I risultati delle elezioni europee: luci e ombre.
ORIGINAL: The Federalist, a political review.
Come federalisti abbiamo sempre un doppio compito. Il primo è contribuire alla costruzione del sistema politico europeo, compito che va al di là della questione istituzionale per includere anche la questione della partecipazione dei cittadini. La questione istituzionale rimane sempre importante, non soltanto per la posizione dell’Europa nel mondo attuale, ma anche perché è vero, come sappiamo, che ci sono degli interventi di ingegneria costituzionale che sono funzionali anche a far avanzare il sistema politico europeo. Ora, nelle elezioni europee non c’è stato un grande miglioramento della partecipazione dei cittadini. Rispetto al 2019 infatti c’è stato un miglioramento solo di mezzo punto percentuale, e dunque se ne può trarre la conclusione che c’è una stagnazione del livello di partecipazione, e non è una buona notizia. È vero che se vogliamo essere più ottimisti possiamo dire che almeno non si è andati nel senso contrario, ma nel 2019 abbiamo visto un miglioramento di 8 punti percentuali, passando dal 42 al 50%, ora siamo al 50,5% e quindi dobbiamo ragionare su questo punto e chiederci che cosa è accaduto. Forse si poteva sperare in un miglioramento più sostanziale, tenuto conto del fatto che le grandi questioni, come le risposte alla pandemia e alla guerra di Ucraina e in Medio Oriente si decidono a livello europeo, e quindi ci si sarebbe potuti immaginare un interesse maggiore dei cittadini per le elezioni europee. Ma questo non è avvenuto, e invece si è verificata una situazione simile a quella del 2014, quando per la prima volta si è invertita la tendenza discendente che ha caratterizzato le elezioni europee fin dall’inizio. Il vero miglioramento si è avuto dunque solo nel 2019, grazie alla mobilitazione dei giovani sulla questione ambientale e sul cambiamento climatico.
La seconda dimensione della quale dobbiamo occuparci è quella del carattere paneuropeo o meno della campagna e del dibattito elettorale. Come dicevo, da una parte sono stati presenti temi che ovviamente riguardano all’Europa e le relazioni internazionali, e questo è positivo, ma dall’altra è vero che tante dinamiche sono state sicuramente strettamente nazionali. In Spagna ad esempio questioni molto collegate alla moglie del Primo Ministro e alle nostre relazioni con l’Argentina sono state veramente presenti nella campagna elettorale. Quindi dovremmo anche fare un’analisi per vedere se almeno nei media e negli interventi pubblici dei partitici sia stato almeno un margine di miglioramento relativamente al carattere europeo del dibattito.
In particolare, dobbiamo vedere se i dibattiti tra i candidati a presidente della Commissione sono stati più visti rispetto a cinque anni e dieci anni fa, anche se credo che rimangano un po’ estranei al grande pubblico. Un altro elemento interessante da analizzare è se i partiti politici nazionali hanno fatto riferimento alla loro identità corporativa europea, questione sulla quale non credo che ci sia stato un gran miglioramento.
Per quanto riguarda il risultato delle elezioni, questo è molto chiaro: c’è stato uno spostamento del centro di gravità verso la destra, perché sia la destra democratica pro-europea, sia le estreme destre hanno migliorato il loro risultato. Quindi, più seggi per i popolari europei, più seggi per il gruppo Identità e Democrazia, più seggi per il gruppo ECR. Invece calano i socialisti, anche se non moltissimo. Il gruppo socialista in effetti rimane il secondo gruppo politico, perde 2 o 3 seggi, ma regge soprattutto grazie al risultato dei socialisti in Spagna col 30% e del PD col 24%, mentre in Germania la SPD è andata molto male. In Francia invece i socialisti sono saliti dopo tanti anni al 14%. I grandi colpiti nel campo pro europeo sono ovviamente i liberali, con risultati molto negativi in Francia e in Germania, e anche i Verdi in questi due paesi. Sono gruppi che hanno perso molta forza. Quindi è vero che l’asse strettamente diciamo ideologico, sulle politiche a livello europeo, sembra che stia andando più a destra. Detto questo, è vero che non è stata una vittoria a livello generale delle estreme destre. Queste hanno avuto dei risultati molto buoni, anche preoccupanti, in paesi molto importanti, anche paesi fondatori, come Germania con l’estrema destra al secondo posto con il 16% e in Francia al primo posto col 31%. E con il partito di Meloni in Italia al 29%. Questi tre dati sono ovviamente scoraggianti. Tuttavia, non hanno vinto dappertutto, non hanno vinto nei paesi scandinavi, non hanno vinto negli altri paesi mediterranei al di là del dell’Italia. Quindi tutto sommato una maggioranza europeista rimane. E’ necessario però allargare ai Verdi, perché con solo popolari, socialisti e liberali rimane una maggioranza un po’ stretta.
Questa maggioranza in realtà è l’unica possibile, direi anche per una questione aritmetica. Perché, anche sommando popolari, ID e ECR – cosa che peraltro non è nemmeno possibile politicamente, al di là dell’aritmetica – si arriva a 316 seggi, e quindi non ai 360 necessari per avere la maggioranza. Si dovrebbero quindi aggiungere i liberali, ma i liberali, al di là forse di quelli olandesi che hanno fatto l’accordo con Wilder, non accetterebbero di far parte di una maggioranza del genere. Inoltre, all’interno del PPE le delegazioni maggiori sono quelle tedesca e polacca, e un’alleanza tra i popolari polacchi ed ECR, dove comanda il partito di Kaczynski, non regge. Per non parlare della CDU tedesca che dovrebbe allearsi con AfD e Le Pen. E’ quindi una maggioranza che non regge né aritmeticamente né ideologicamente.
La base rimane quindi sempre questa maggioranza europeista che deve essere trasversale a livello ideologico, giustamente, ma che ha in comune la cosa più importante, e cioè il fatto di essere a favore dell’Europa, e anche a favore della riforma istituzionale dell’Europa, perché tutti questi partiti hanno messo nel loro programma elettorale per le elezioni la riforma dei Trattati, anche il Partito della Sinistra Europea. Non è stato così invece per i conservatori e per quelli più, diciamo, di estrema destra che ovviamente hanno una idea assolutamente diversa dell’Europa.
Quanto poi al processo post elettorale, è molto interessante. Il livello di attenzione dei media in Europa e fuori dall’Europa sul processo elettorale europeo sulle elezioni europee sicuramente è arrivato al massimo. Le elezioni europee del 1984 non avevano suscitato il livello di interesse che hanno suscitato le elezioni europee in questi ultimi anni, e questo è normale, perché il Parlamento europeo deve eleggere il Presidente della Commissione e perché nel Parlamento europeo si dovrà formare una coalizione. I gruppi politici pro-europei devono esercitare un ruolo molto importante perché hanno la possibilità di chiedere delle condizioni importanti per consentire l’elezione di Ursula Von der Leyen, che dovrà presentare il programma di lavoro della nuova Commissione europea.
Come Parlamento abbiamo preso posizione su questo. Uno degli elementi essenziali del sistema politico europeo in costruzione è il processo conosciuto come processo degli Spitzenkandidaten. E lì, come sapete, nel 2019 c’è stato un passo indietro, perché, dopo l’esperienza positiva del 2014, quando Juncker venne proposto dal Consiglio europeo al Parlamento europeo come Presidente in quanto Spitzenkandidat del PPE che aveva ottenuto più seggi alle elezioni, questo non è accaduto. In primo luogo, perché non c’è stato un accordo nel Parlamento europeo sull’individuazione di un candidato comune, e in secondo luogo perché ci sono state delle dinamiche diverse nel Consiglio europeo e Angela Merkel non è stata seguita dal suo partito.
Oggi invece abbiamo l’opportunità di riprendere la buona strada. Perché oggi nessuno discute che deve essere l’attuale Presidente e candidata presentata dai popolari europei a ricevere l’incarico di trovare una maggioranza in Parlamento europeo. Sto utilizzando un linguaggio tipico delle democrazie parlamentari nazionali, perché possiamo pensare al Consiglio europeo come a un capo di Stato collettivo. Il fatto che Ursula Von der Leyen sia proposta come candidata dal Consiglio europeo non vuol dire necessariamente che sarà eletta, perché dovrà aprire un tavolo di negoziato con i vari gruppi politici pro-europei e negoziare un accordo di coalizione come accade anche a livello nazionale. E sulla base di questo programma comune, sottoscritto da popolari, socialisti, liberali e verdi, dovrà chiedere sostegno nel voto che si terrà nella plenaria di luglio 2024 del Parlamento europeo.
Se questo accadrà, avremo fatto un grande passo in avanti nella costruzione progressiva di un vero sistema politico europeo, e questo è molto importante. Per noi federalisti è anche in questa occasione che si deve concentrare il nostro lavoro di influenza politica sui vari partiti politici. Dobbiamo infatti far sì che in questo accordo di coalizione non ci siano solo condizioni relative alle varie politiche, come il cambiamento climatico, il lavoro, ecc., ma anche condizioni di carattere istituzionale e in particolare il sostegno della nuova Commissione al progetto di riforma dei Trattati del Parlamento europeo. Anche perché l’articolo 48 del Trattato sull’Unione europea prevede che una volta che il progetto di riforma viene messo all’ordine del giorno del Consiglio europeo – cosa che non è ancora avvenuta – si deve chiedere un parere alla Commissione europea. Bisogna dire che finora la Commissione non ci ha sostenuti, perché qualche mese fa ha fatto una Comunicazione che andava nella direzione sbagliata, perché parlava di progressi a trattati costanti, e quindi nemmeno di procedure revisioni semplificate, ma addirittura di utilizzo delle cooperazioni rafforzate e delle passerelle esistenti.
Un’alleanza tra Parlamento europeo e Commissione, costruita sul fatto che il Parlamento europeo deve subordinare il suo voto alla condizione che la Commissione sostenga la proposta del Parlamento europeo, è una grande opportunità ed è necessaria perché la battaglia nel Consiglio europeo è ancora molto difficile e quindi il Consiglio europeo va messo nell’angolo. In effetti, dopo le elezioni la via è diventata più stretta, non più facile.
Innanzitutto bisogna vedere con quanta convinzione il nuovo Parlamento continuerà a ribadire la posizione presa dal Parlamento europeo nel novembre del 2023. La maggioranza pro-europeista c’è, i partiti politici pro-europei ci hanno dato retta, ed è la prima volta che 5 gruppi politici ci hanno dato retta. Però abbiamo un problema con il PPE, che è un gruppo pro-europeo, ma la cui maggioranza non sta sulla linea federalista. Abbiamo ovviamente la fortuna che la delegazione più importante è quella tedesca, quella della CDU. E hanno una linea chiara su questo anche Forza Italia, in generale i popolari spagnoli, ma non i polacchi di Tusk, che sono l’altra grande delegazione dei popolari. Lì c’è un lavoro da fare e speriamo che con la ricostituzione del gruppo Spinelli possiamo interessare più membri del gruppo popolare. Magari convincerli a prendere la leadership del gruppo Spinelli perché abbiamo bisogno che il Parlamento, che ha fatto il suo lavoro e non lo deve rifare, ribadisca con convinzione questa posizione.
Quanto al Consiglio europeo, la composizione del Consiglio europeo non è diventata più favorevole. E’ vero che basta la maggioranza semplice per convocare una Convenzione, ma cosa accadrà in Francia tra 15 giorni? Avremo un governo ancora pro-europeista in Francia? Speriamo di sì, ma non lo so veramente. I miei colleghi socialisti hanno fatto l’alleanza anche con la France Insoumise con un programma comune che rispetta, diciamo, il percorso europeo. Ma in Francia chi sarà il Primo Ministro, chi il Ministro degli Affari Esteri? Ci sarebbero incertezze anche nell’ipotesi di vittoria del nuovo Fronte Popolare. L’altro grande governo pro-europeo, quello tedesco è molto indebolito e l’anno prossimo ci saranno le elezioni. In Spagna Pedro Sánchez non ne esce male, ha avuto il 30%, ma la situazione interna è molto difficile. Se il governo non riesce a far passare il bilancio dell’anno prossimo, e ci sono tanti dubbi che possa riuscire a causa della situazione in Catalogna, possiamo andare anche verso una ipotesi, non solo possibile, ma anche probabile, di elezioni generali in Spagna per l’anno prossimo. E nell’ipotesi di un governo dei popolari spagnoli sostenuto dall’estrema destra di Vox, che atteggiamento avrebbero sulla riforma dei trattati? Tutto questo ci fa dire che una finestra c’è, ma è stretta, e bisognerebbe far scattare la procedura di revisione dei Trattati il più presto possibile perché le cose possono andare ancor peggio a livello della composizione del Consiglio europeo.
Per questo dobbiamo puntare molto, nel nostro lavoro di advocacy, sulla Commissione, ma anche sul Presidente del Consiglio europeo, che finora è stato una grande delusione. Ogni volta che a Charles Michel viene chiesto pubblicamente di pronunciarsi sulla riforma dei trattati, dice che non ci sarà mai e, dopo sei mesi che il governo spagnolo ha trasmesso la richiesta del Parlamento, il Consiglio europeo non ne ha mai tenuto conto nelle sue Conclusioni. Siamo a un livello non soltanto di mancanza di cooperazione istituzionale, ma di scorrettezza, in realtà. Quindi dobbiamo cercare di dire, dal Parlamento, dal gruppo Spinelli, al nuovo Presidente del Consiglio europeo, che sicuramente sarà socialista, di tenere almeno conto della proposta del Parlamento, per poi vedere quando avviare la procedura.
Si può senz’altro parlare di vie alternative, senza preclusioni. Ma sicuramente l’alternativa di un mandato costituente al Parlamento europeo è più difficile, nella situazione attuale, rispetto all’apertura della procedura di riforma dei Trattati con una Convenzione.
Domènec Ruiz Devesa
[*] Si tratta dell’intervento del Presidente dell’Unione europea dei Federalisti, Domènec Ruiz Devesa, alla riunione del Comitato federale del Movimento federalista europeo tenutasi a Roma il 22 giugno 2024.